giovedì 26 giugno 2008

Commento di Giacomo , il Resegone più giovane!!

Trentunesimi classificati in 4h39’ e spicci. Questo è il dato di fatto, questo è il punto d’arrivo. Oggi la soddisfazione è grande per me: poter dire di aver concluso questa corsa, che non è una banalità definire da leggenda, ripaga di mesi e mesi passati in strada, di tutto l’inverno consumato al buio, frontalino in testa, a “fare legna” macinando chilometri su chilometri: già, perché per portare a termine questa corsa servono doti nervose speciali, gambe d’acciaio e soprattutto la fortuna di far parte di una grande Squadra. Lo scrivo con la “S” maiuscola perché dall’altro giorno, dal 22 di giugno, le “Aquile del Garda” sono una Grande Squadra.
Tutto cominciò non più tardi di un anno fa, quando in uno dei nostri soliti allenamenti in gruppo, Piuazzo, all’anagrafe Michele Pepe, che per noi è “Biru Biru”, preso dalla calura estiva, durante la preparazione della Lake Garda Marathon, correva un luglio abbastanza incendiato, all’ennesimo scatto in salita di Roberto e Luigi, cui io non riesco a non rispondere, una volta raggiuntici pronunciò sibillino una frase che oggi è musica: “Bravi Bravi, ma non riuscirete mai a portare a termine una corsa vera come la Monza-Resegone”. Ora è bene dire, per inciso, che nessuno di noi tre sapeva minimamente cosa fosse questa corsa, dove si svolgesse, quale distanza proponesse, e neppure che dislivello coprisse. Ma un’altra cosa è bene dire, che io, Luigi e Roberto, non sappiamo minimamente dire “No!” ad una sfida, di qualsiasi genere essa sia. Così, tornati a casa, il tempo di documentarsi un paio di giorni, e sapevamo benissimo che saremo stati sicuramente al via dell’edizione 2008. Fin qui il preambolo. I mesi sono passati, e verso gennaio la definitiva sentenza: quella corsa andava fatta, punto e basta. La squadra c’era, e così, tra la meraviglia dei maratoneti del gruppo che ancora oggi si stanno interrogando se stessimo scherzando o se veramente parlassimo con l’intenzione di andare, abbiamo cominciato ogni sorta di allenamento per poter presentarci al 21 giugno in piena forma.
E fu così che, quel Giro delle due croci, che sembrava il non plus ultra del podismo da basso lago di Garda, è diventato il nostro terreno abituale, tanto che ora quelle salitelle ci fanno quasi tenerezza. L’abbiamo percorso a qualsiasi ora del giorno e della notte, sia dritto che in senso inverso, decine e decine di volte. Ora lo sentiamo “Il Nostro terreno di caccia”.
E al 21 di giugno siamo arrivati veramente in piena forma. Squadra compatta, abituata a viaggiare insieme, obiettivo esplicito: arrivare entro il tempo massimo, obiettivo del cuore: nei primi 50.
Anche dal punto di vista dell’assistenza in corsa non stavamo per niente male: Alessandro il dentista, e Veronica, sua dolce metà, ci avrebbero sorretti fino ad Erve, fornendoci quanto di meglio noi avessimo richiesto: dagli integratori alle caramelle, per finire con il leggendario frontalino per la salita finale.
Partiti all’ora che la sorte aveva attribuito alla nostra fatica, pettorale 176, a conti fatti non poteva andare meglio, scoccavano le 22:58:30, tra il boato generale della folla, ancora numerosa sul vialone che porta all’Arengario, ci rendiamo subito conto di essere nel bel mezzo di qualcosa di speciale, di unico! E allora che festa sia: iniziamo veramente alla grande, il trenino è ben presto definito come da accordi, e così mi pongo in testa a scandire il “4 minuti e 40” che ci avrebbe dovuto portare a Calolziocorte belli pimpanti. Tutto procede per il meglio, sembriamo una squadra da una vita: la fatica non si sente, e sciolti e compatti rimontiamo le terne partite prima di noi, attraversando tutti i paesi della Brianza che via via ci aspettano. Sì, perché in questa sera, ormai fattasi notte, i paesi ti aspettano, e restano ai bordi della strada ad attendere anche gli ultimi passaggi, e ad incitare e a cantare motivetti che credo rimarranno nel cuore per molto tempo. Come quello della bambina di Villasanta, che riecheggia ancora in me: “Avanti, di fretta, il Resegone aspetta…”. Emozioni… di corsa, una dietro l’altra, intanto la squadra diventa una cosa sola, con Roberto che mi segue e mi conferma ad ogni invito che tutto fila liscio, e Luigi che chiude i ranghi, fiero e gagliardo. Praticamente non ci siamo mai disuniti. Ogni 7 km incontravamo, puntuali come non mai, il gippone del nostro rifornimento: Ale e Veronica erano anche loro entusiasti per quanto stavamo facendo, per l’emozione di questa corsa, dove anche gli accompagnatori sono attori protagonisti. Intanto le Aquile macinavano chilometri, e venne la mezza, i 28, i 30 ed i 32. Calolziocorte, e tutto andava per il meglio. L’inizio della salita per Erve, il cambio di locomotore, Roberto che prende il comando e io che mi accodo. A questo punto avremmo dovuto tirar fuori il meglio di noi, e cominciare a fare sul serio nei 5 km che mancavano all’attacco del sentiero. Sapevamo bene che era qui che si faceva la gara, per questo ci eravamo allenati su salite di oltre 10 km. E d’altra parte, anche il “muro” della maratona, sembrava passato indolore, visto che già dal km 25 avevamo superato equipaggi fermi, o al passo lungo la strada. E invece, puntuale come il destino, appena attaccata la prima scalinata, quella con i gradoni larghi, per chi c’era, ecco la gamba sinistra che si blocca ed un crampo pazzesco mi attanaglia il polpaccio, e mi sale fino al cuore. Da qui in poi inizia un’altra corsa, un mix di amarezza, per quello che stava sfumando, di rabbia, ma anche di determinazione ad arrivare in fondo comunque; anche se è stata soprattutto una bellissima storia di vita. Quella dell’amicizia fattasi metro dopo metro più forte con Roberto e Luigi che, costretti a rallentare i loro impeti e le loro velleità, capiscono il mio grande dolore, fatto di urla nella notte, e apprezzano ogni qualvolta, con grande fatica, e senza più gambe, riparto per un tratto di corsa. A completare il quadro ci si è messo anche lo splendido Alessandro (eccezionale veramente) che sui tornanti per Erve, musica dei Queen a palla e urla di incitamento, ci spronava a correre. Così arriviamo a Erve, passiamo il ponticello che c’eravamo prefissati come obiettivo, e saliamo per quello che definire giro della morte è eufemistico. Qui, dopo gli ultimi sempre più brevi tratti di corsa, ci avviamo al passo verso gli ultimi interminabili 4 km. Il Pra di Rat arriva bello ed insormontabile, magnifico e temibile. Ormai sento crampi dappertutto. Mi consola il fatto che c’è chi sta peggio. Personalmente adoro la montagna, qui l’ho odiata, ma metro per metro, sospinto dai miei due angeli custodi, riusciamo a superare anche questo limite verticale. Un muro indescrivibile che si supera con grandi gambe e grande forza, o altrimenti con grande dolore e grande passione. Ed è con grande gioia che arriviamo al ristoro degli alpini dove bevo tutto quello che posso, abbraccio Luigi e Roberto, conscio che ormai il peggio è passato, rinfrancato che “ormai mancano 20 minuti e siete arrivati”, permettendomi addirittura il lusso di pensare che qui le distanze vengano date in minuti e non in chilometri: mi avvio ormai senza più soste verso la Capanna irraggiungibile. Ormai è tutto un su e giù, nella speranza di scorgere le luci in lontananza, di sentire i richiami. Ben presto arrivano i rumori molto prima di vedere le luci. Tra quelli già arrivati, qualcuno sta scendendo e ci incoraggia a non mollare. Tutto sembra magico ed irreale, sono le 3 e mezza di una notte di mezza estate, e quello che stiamo vivendo lo porteremo per sempre con noi. E’ qualcosa di immortale, quelle montagne sembrano saperlo. Così nel finale, quasi senza accorgercene, troviamo addirittura le energie per sprintare, e superare qualche squadra, anche se la decisione vale gli insulti di Roberto verso la mia ritrovata energia. Saliamo gli ultimi metri di corsa, oltrepassiamo lo scalino e… ce l’abbiamo fatta! Il Resegone è conquistato. Splendido. Il tempo di ristorarci con un sorso d’acqua, nulla più, si recupera il cambio, una maglia asciutta, e via verso Erve prima che stanchezza e fatica rapiscano definitivamente. La discesa è interminabile, lunghissima pure quella. Alle 5 di mattina raggiungiamo Erve, di lì a poco troviamo Alessandro e Veronica dormienti, qualche metro a valle. Busso al vetro, loro si svegliano, ci mettono un po’ a realizzare di non aver sognato tutto in quella notte; è tutto vero - dico loro - ce l’abbiamo fatta! O forse anch’io ho sognato? Il dubbio resta, perchè dopo qualche ora, come nei sogni più belli, restano solo i ricordi felici, e tutta la fatica svanisce in una domenica di riposo dopo la notte più lunga che ha portato le Aquile sulla vetta più alta.

1 commento:

Alvin ha detto...

Gara fantastica racconto entusiasmante BRAVI BRAVI BRAVI!